Giovanni Papini
Giovanni Papini, nato a Firenze il 9 gennaio 1881 è stato uno scrittore, poeta e aforista italiano. Ebbe un'infanzia e un'adolescenza molto povere e solitarie, passate a leggere i libri della biblioteca del nonno.
Si diplomò maestro nel 1899, insegnando per qualche anno, poi diventò bibliotecario. 1º gennaio 1913 creò con Ardengo Soffici la rivista Lacerba, che uscì a Firenze.
Fu un grande sostenitore del movimento futurista e si batté per l'intervento italiano nella prima guerra mondiale. Celebre il suo articolo Amiamo la guerra, apparso su Lacerba (1 ottobre 1914) che tra poco analizzeremo. Il 22 maggio 1915, chiuse la rivista pochi giorni prima dell'entrata in guerra, dimostrandosi però ampiamente pentito del suo interventismo e dichiarando "di sentirmi quasi complice, benché inerme, di quella forsennata devastazione". Successivamente aderì al fascismo e collaborò anche al Corriere della Sera, pubblicandovi articoli con cadenza quindicinale. Nel 1953 Papini fu colpito da una paralisi progressiva che lo portò alla morte l’8 luglio 1956.
Il futurismo per Papini è innanzitutto un movimento innovativo, capace di discostarsi dalla tradizione e dallo scolarismo.
L’autore afferma che la guerra possa liberare l’umanità da individui antipatici, farabutti, idioti, odiosi. Seppur essa porti alla perdita anche di alcune persone che poi verranno rimpiante, il loro numero è comunque ininfluente rispetto a quello delle precedenti.
Per quanto riguarda la critica mossa agli interventisti, a partire dalla sofferenza delle madri dei soldati Papini ci dice che il pianto non è altro che un momento di passaggio che poi le porterà a star meglio e che le donne rimaste a casa non servono a null’altro che a questo.
A parere dell’autore la guerra poi consentirebbe uno sviluppo economico a partire dal settore primario. Renderebbe infatti più fertili i campi di battaglia consentendo un miglioramento dei raccolti per molti anni.
Altro elemento a favore del conflitto sarebbe poi la possibilità, attraverso la guerra di eliminare costruzioni e oggetti vecchi e rovinati e di sostituirli con altri più nuovi e funzionali.
Amiamo la guerra di Giovanni Papini
Finalmente è arrivato il giorno dell'ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell'anime1 per la ripulitura della terra.
Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l'arsura dell'agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre.
E' finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell'ipocrisia e della pacioseria. I fratelli sono sempre buoni ad ammazzare i fratelli! i civili son pronti a tornar selvaggi, gli uomini non rinnegano le madri belve.
Non si contentano più dell'omicidio al minuto.
Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana.2 C'è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un'infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita.
Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme. E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliaia di antipatici, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa.
Non si rinfaccino. a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio.
Chi odia l'umanità - e come si può non odiarla anche compiangendola? - si trova in questi tempi nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l'odio e lo consola. "Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò son contento che ne spariscano parecchi". La guerra, infine, giova all'agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz'altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s'ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest'altro anno!
E il fuoco degli scorridori3 e il dirutarnento4 dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei viaggiatori e dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un'arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare per tutti se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita dalla distruzione.
Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa - e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.
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1. la decima dell’anime:: un cospicuo tributo di vite umane.
2. un’operazione malthusiana: l'economista inglese Thomas Roben Malthus (1766-1834) sostenne la necessità di una limitazione delle nascite per risolvere la contraddizione tra incremento delle nascite e inadeguatezza delle risorse e dei mezzi di sussistenza.
3. scorridori: soldati mandati in avanscoperta.
4. il dirutamento: la distruzione. la rovina.
Giovanni Papini, nato a Firenze il 9 gennaio 1881 è stato uno scrittore, poeta e aforista italiano. Ebbe un'infanzia e un'adolescenza molto povere e solitarie, passate a leggere i libri della biblioteca del nonno.
Si diplomò maestro nel 1899, insegnando per qualche anno, poi diventò bibliotecario. 1º gennaio 1913 creò con Ardengo Soffici la rivista Lacerba, che uscì a Firenze.
Fu un grande sostenitore del movimento futurista e si batté per l'intervento italiano nella prima guerra mondiale. Celebre il suo articolo Amiamo la guerra, apparso su Lacerba (1 ottobre 1914) che tra poco analizzeremo. Il 22 maggio 1915, chiuse la rivista pochi giorni prima dell'entrata in guerra, dimostrandosi però ampiamente pentito del suo interventismo e dichiarando "di sentirmi quasi complice, benché inerme, di quella forsennata devastazione". Successivamente aderì al fascismo e collaborò anche al Corriere della Sera, pubblicandovi articoli con cadenza quindicinale. Nel 1953 Papini fu colpito da una paralisi progressiva che lo portò alla morte l’8 luglio 1956.
Il futurismo per Papini è innanzitutto un movimento innovativo, capace di discostarsi dalla tradizione e dallo scolarismo.
L’autore afferma che la guerra possa liberare l’umanità da individui antipatici, farabutti, idioti, odiosi. Seppur essa porti alla perdita anche di alcune persone che poi verranno rimpiante, il loro numero è comunque ininfluente rispetto a quello delle precedenti.
Per quanto riguarda la critica mossa agli interventisti, a partire dalla sofferenza delle madri dei soldati Papini ci dice che il pianto non è altro che un momento di passaggio che poi le porterà a star meglio e che le donne rimaste a casa non servono a null’altro che a questo.
A parere dell’autore la guerra poi consentirebbe uno sviluppo economico a partire dal settore primario. Renderebbe infatti più fertili i campi di battaglia consentendo un miglioramento dei raccolti per molti anni.
Altro elemento a favore del conflitto sarebbe poi la possibilità, attraverso la guerra di eliminare costruzioni e oggetti vecchi e rovinati e di sostituirli con altri più nuovi e funzionali.
Amiamo la guerra di Giovanni Papini
Finalmente è arrivato il giorno dell'ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell'anime1 per la ripulitura della terra.
Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l'arsura dell'agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre.
E' finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell'ipocrisia e della pacioseria. I fratelli sono sempre buoni ad ammazzare i fratelli! i civili son pronti a tornar selvaggi, gli uomini non rinnegano le madri belve.
Non si contentano più dell'omicidio al minuto.
Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana.2 C'è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un'infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita.
Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme. E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliaia di antipatici, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa.
Non si rinfaccino. a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio.
Chi odia l'umanità - e come si può non odiarla anche compiangendola? - si trova in questi tempi nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l'odio e lo consola. "Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò son contento che ne spariscano parecchi". La guerra, infine, giova all'agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz'altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s'ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest'altro anno!
E il fuoco degli scorridori3 e il dirutarnento4 dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei viaggiatori e dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un'arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare per tutti se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita dalla distruzione.
Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa - e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.
_________________________________________________________________
1. la decima dell’anime:: un cospicuo tributo di vite umane.
2. un’operazione malthusiana: l'economista inglese Thomas Roben Malthus (1766-1834) sostenne la necessità di una limitazione delle nascite per risolvere la contraddizione tra incremento delle nascite e inadeguatezza delle risorse e dei mezzi di sussistenza.
3. scorridori: soldati mandati in avanscoperta.
4. il dirutamento: la distruzione. la rovina.