Giuseppe
Ungaretti (1888, Alessandria d’Egitto- 1970, Milano) studiò alla scuola
svizzera École Suisse Jacot di Alessandria d’Egitto.
Venne a contatto con la letteratura francese attraverso la rivista "Mercure de France" e iniziò a leggere le opere dei simbolisti francesi Rimbaud, Mallarmè, Baudelaire. Si avvicinò alla letteratura italiana con l'abbonamento alla rivista “La Voce”.
Si trasferì a Parigi nel 1912, dove conobbe il poeta Apollinaire, con cui strinse amicizia. Incontrò anche Aldo Palazzeschi, Picasso, De Chirico e Modigliani.
Nel 1914 Ungaretti giunse a Milano.
Nel 1915 si arruolò volontario in quanto nutriva sentimenti interventisti. Combatte sul Carso in Friuli, un paesaggio che Ungaretti ritrarrà nella sua prima raccolta “Il porto sepolto”. Il porto sepolto fa parte del nucleo originario della poesia di Ungaretti, prima “Allegria di naufrag” e poi “L'allegria”.
Finita la guerra, si impiegò al Ministero degli Esteri e in seguito aderì al fascismo, firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925.
Ungaretti, irrequieto e legato alla cultura degli intellettuali francesi, si allontanò dal fascismo.
Nel 1928 Ungaretti si convertì al cattolicesimo e pubblicò nel 1933 "Sentimento del Tempo".
Nel 1936 si trasferì in Brasile, a San Paolo, dove ottiene la cattedra di letteratura italiana presso l'università della città.
La morte del figlio nel 1939 fu per Ungaretti fonte di grande dolore e presente in molte poesie delle raccolte “Il Dolore” (1947) e “Un Grido e Paesaggi” (1952). Morì nel 1970 a Milano, dopo che la sua opera era stata raccolta in un unico volume “Vita di un uomo”.
L’ALLEGRIA
Una prima edizione venne pubblicata con il titolo “Il porto sepolto” (1916), poi “Allegria di naufragi” (1919) ed infine “L’allegria” (1931)
Questa raccolta, dal taglio fortemente autobiografio, nacque dal bisogno di momenti autentici nella realizzazione di un’armonia con la realtà circostante, armonia attraverso cui l’individuo si sente parte dell’universo.
Evidente è la ribellione alle regole tradizionali della forma poetica e la tensione espressionistica con cui si intende il completo rifiuto della punteggiatura, l’uso dell’indicativo presente, la ricerca della massima autosufficienza e immediatezza espressiva raggiunta attraverso lo sconvolgimento della metrica, l’adozione di versi brevissimi e dando la massima energia a nomi e verbi.
VEGLIA
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
SAN MARTINO DEL CARSO
Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più straziato
ITALIA
Locvizza l’1 ottobre 1916
Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni
Sono un frutto
d’innumerevoli contrasti d’innesti
maturato in una serra
Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia
E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre
FRATELLI
Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli fa parte come le altre poesie analizzate delle poesie composte durante la prima guerra mondiale, precisamente il 15 luglio del 1916, mentre il poeta si trovava volontario a Mariano: si tratta della località di Mariano del Friuli, paesino in provincia di Gorizia, a qualche chilometro a nord della linea dell’Isonzo. La poesia Fratelli in origine si intitolava Soldati (sia nella raccolta Porto sepolto del 1916, sia in Allegria del 1919), nel corso degli anni fu rimaneggiata più volte fino alla stesura definitiva nell’edizione del 1942 dell’Allegria.
La poesia Fratelli si apre con una domanda che viene rivolta ai soldati che, nell’oscurità della notte, non sono immediatamente riconoscibili al poeta e ai suoi commilitoni. La poesia verte su uno dei temi fondamentali del primo Ungaretti: la "fraternità degli uomini nella sofferenza", nel caso specifico è la fraterna solidarietà che lega i soldati nella condizione di fragilità imposta dalla guerra. Gli uomini, legati dal comune destino di morte, si uniscono nel comune sentimento di precarietà, non solo legato alla situazione contingente ma riferito anche alla condizione umana nel suo complesso. I soldati, avendo sempre davanti ai propri occhi immagini di morte, sono ben consapevoli di quanto siano fragili, tuttavia riescono anche a comprendere che la caducità è una caratteristica peculiare dell’intera condizione umana e accomuna tutti gli uomini in un sentimento di dolorosa fraternità. La solidarietà rappresenta l’istintiva reazione (involontaria rivolta) alla constatazione della precarietà umana. Gli uomini cercano così di tornare gradualmente alla vita.
ANALISI:
- Fratelli = rappresenta la parola-chiave che apre e chiude il componimento, e a cui si connettono tutti gli altri termini del testo (“parola tremante”, “foglia”, “involontaria rivolta”). Il tema passa così dalla realtà della guerra al senso di fratellanza che, nonostante tutto, prova ad instaurarsi tra i soldati. I soldati riacquistano così la propria umanità ed intima dignità. La parola dà speranza e nuovo vigore.
- Parola = è riferito a fratelli – Tremante = la sensazione di paura e di timore per l’incertezza sulla propria sorte, connessa al pericolo di morire da un momento all’altro, è trasferita dagli uomini del reggimento alla “parola” “fratelli”, che in tal senso vibra/trema e risuona nella notte simboleggiando tutta la fragilità umana dei “soldati”.
- Foglia appena nata = analogia ungarettiana (come in altri testi, da Sono una creatura a San Martino del Carso a Soldati). La parola di solidarietà, fratelli, è paragonata a una foglia appena sbocciata, fragile, così come è fragile il destino dell’uomo.
- Involontaria rivolta = [la parola fratelli suona come] ribellione spontanea/istintiva all’orrore della guerra. La parola “fratelli”, scambiata tra due reggimenti in una notte di guerra e di morte, diventa una forma di ribellione (come se la sofferenza avesse portato a galla l’intima natura di ciascuno) all’assurda tragicità della realtà. Ungaretti celebra l'istinto di quest'ultimo alla vita e il desiderio insito nell'animo di ognuno di sfuggire la morte e la guerra.
Il testo è reso suggestivo tramite alcuni espedienti nel linguaggio. Non essendovi che un solo verbo (siete al v.1) la centralità viene assunta da sostantivi e aggettivi che si affiancano l’uno all’altro. Poche parole scarne e crude e un termine che scandisce tutta la lirica: fratelli, ripetuta all’inizio e alla fine della lirica. Spazi bianchi, scomposizione dei versi e pause servono a dare rilievo al valore delle parole utilizzate. Il punto interrogativo del verso 2 è, come spesso accade in questa fase della poetica ungarettiana, l’unico segno d’interpunzione presente nella lirica.
IN DORMIVEGLIA
Valloncello di Cima Quattro il 6 agosto 1916
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio
Mi pare
che un affannato
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
ed io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia
In Dormiveglia è una poesia scritta a Valloncello di Cima Quattro il 6 Agosto 1916. I temi principali sono la violenza, la crudeltà, l’atrocità, la malvagità, la paura e anche la speranza, in legame tra loro tramite un rapporto di causa effetto.
La poesia è divisa in due parti. La prima comprende i primi 8 versi ed è una descrizione della notte in trincea. Giuseppe Ungaretti riesce a trasmettere le sue sensazioni e la situazione caotica che regnava in quel tempo, sotto il clamore e il tumulto delle armi e degli uomini rifugiati nelle trincee. La seconda parte invece comprende l’ultima strofa, di 9 versi. In questa parte tutto si trasforma in un mondo “incantato”, in un luogo di “scalpellini” e “lastricati”, dove Ungaretti si finge ad occhi chiusi, trovando asilo momentaneo alle atrocità in cui era immerso e suo malgrado partecipe. Ma è solo una finzione questo dormiveglia, un’illusione che il poeta conosce bene ma non sa evitare.
ANALISI:
- Assisto la notte violentata = il verbo assistere è usato in senso transitivo. La notte è personificata e Ungaretti la assiste, come se fosse un infermiere, perché è “violentata” dai mille colpi rabbiosi della fucileria – Ipallage: non è la notte ad essere violentata, ma piuttosto i soldati in trincea, violentati nella loro dignità di persone, nella loro libertà, nelle loro individualità a causa della guerra.
- Come una trina = come un pizzo. La similitudine rimanda alla dimensione domestica e familiare ed è rappresentativa del tema del rapporto tra la situazione bellica e la memoria dell’infanzia o dell’adolescenza.
- Come le lumache nel loro guscio = i soldati sono nella stessa condizione delle lumache. Sono ristretti nel loro guscio, rintanati e pigiati nella trincea; pur essendo in posizione difensiva estrema, sono anche vigili, come a volte succede per le lumache, che tirano fuori la testa se tutto intorno è tranquillo, ma, come avvertono un pericolo, si ritraggono nel loro guscio e non escono se non dopo un po' di tempo. Le trincee come il guscio rappresentano una casa, un rifugio dalle minacce e un riparo da eventuali attacchi nemici.
- Mi pare… = i rumori ricordano al poeta i lavori nelle strade della sua città: una folla di scalpellini che martellano tempestosamente le pietre vulcaniche del selciato.
L’originalità della poesia sta nel fatto che la descrizione della guerra è costruita dando importanza ai rumori. Sia nella prima che nella seconda parte, infatti, intorno al poeta c’è un susseguirsi frenetico di colpi, che gli impedisce di abbandonarsi al sonno ristoratore. Nella sua città, però, quel martellare era espressione di lavoro operoso, in tempo di pace; in guerra, invece, è l’azione insensata di uomini che, di notte, si accaniscono su fronti opposti in un gioco di morte per annientarsi vicendevolmente. Questo aspetto è recuperato a livello fonico, contribuendo al collasso sentimentale e al coinvolgimento emotivo che Ungaretti mira ad ottenere nel lettore. Ricorrono infatti ossessivamente parole onomatopeiche di suoni "duri" che stanno a rappresentare i colpi di fucile sparati dai soldati: assisTo, noTTe, vilenTaTa, cRivellaTa, Trina, schioppeTTaTe, riTRaTTi, TRincee, affannaTo, baTTa, lasTRicaTo, pieTRa, sTRade, ascolTi. La fonetica tendenzialmente stridente.
MATTINA
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
M’illumino
d’immenso
Fu scritta il 26 gennaio 1917 a Santa Maria la Longa, mentre il poeta soldato era sul fronte del Carso. Si tratta di una delle poesie più celebri di Ungaretti e del Novecento, è anche la poesia più breve: due parole, unite tra loro da fitti richiami sonori. Fu pubblicata nella raccolta l’Allegria, nella terza sezione Naufragi.
Inizialmente venne pubblicata con il titolo: Cielo e mare. Il cambiamento del titolo in un momento della giornata, e non più in elementi concreti del paesaggio, ha contribuito ad accentuare l’astrattezza della poesia. La "primissima" stesura era contenuta in una cartolina inviata a Papini che recitava: “M'illumino / d’immenso / con un breve / moto / di sguardo", poi ricondotta alla sola sinestesia. La riduzione all’osso del testo non è un segno di incompletezza o di scarsa elaborazione ma al contrario, cogliendo l’essenza dell’avvenimento, di pienezza. L'idea di immenso scaturisce invece dall'impressione che cielo e mare, nella luce del mattino, si fondano in un'unica, infinita chiarità.
La brevissima lirica esprime l'illuminazione dell'improvvisa consapevolezza del senso della vastità del cosmo. Il messaggio che vuol comunicare è la fusione di questi due elementi contrapposti: il singolo, ciò che è finito, si concilia con l'immenso, ritrovando nella luce il principio e la possibilità di tale fusione. In questa poesia prevale quindi la volontà di ricercare una nuova "armonia" con il cosmo. La comprensione della poesia richiede di soffermarsi sulla particolare valorizzazione del titolo, indispensabile all’interpretazione corretta del significato: è metafora del momento della giornata nel quale il poeta, durante la guerra, viene come abbracciato da una luce molto intensa proveniente dall’alto, accompagnata da una sensazione di calore e allegoria della consapevolezza dell'esistenza dell'eterno che ci avvolge e ci sovrasta. Lo splendore del sole, sorto da poco, trasmette al poeta una sensazione di luminosità che provoca immediate associazioni interiori ed in particolare il sentimento della vastità. È un momento in cui il finito e l'infinito si uniscono quasi in un unico elemento: non esiste più niente intorno, solo una grande luce che origina un momento di intuizione quasi mistico nel quale egli si mette in contatto con l’assoluto. M’illumino d’immenso significa appunto questo: l’idea della infinita grandezza mi colpisce nella forma della luce. Il poeta ha voluto mettere in evidenza la felicità di immergersi nella luminosa bellezza del creato, negli spazi infiniti di una mattina piena di sole. Lui guarda il cielo pulito e pieno di luce. Percepisce un certo benessere e allora si riempie di luminosità e di gioia che lo fa sentire in armonia con la natura, soprattutto in quel periodo, in quanto uscito dal fronte con i suoi amici stanchi e delusi dalla guerra.
Dal punto di vista fomale il testo rivela una attenta ricerca di intensità, data dalla sinestesia su cui è costruito il testo, oltre che dal perfetto parallelismo fonico-ritmico dei due versi. I versi sono formati da sillabe musicali che lette di seguito formano un perfetto settenario ed i suoni ripetuti (mi – im; min – men) creano una serie di echi. Sono entrambi aperti da una elisione e costituiti da due termini comincianti per i e terminati per o.
AGONIA
Morire come le allodole assetate
sul miraggio
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato
Questa poesia di Ungaretti esprime in maniera significativa l'animo dei tanti giovani che si erano arruolati volontari all'inizio della Prima Guerra Mondiale. L'autore pensa che sia meglio morire per la libertà,in questo caso per l'indipendenza delle genti di Trento e Trieste,come delle altre terre irredente sul Mare Adriatico,piuttosto che vivere nell'inerzia.
L'allodola e la quaglia sono qui utilizzate come figure simboliche che rappresentano la vita libera,essendo uccelli selvatici,che pur esposti ai pericoli della sopravvivenza e la migrazione non sono soggetti ad alcun tipo di condizionamento che li vincoli. In contrapposizione a questi viene inserito da Ungaretti alla fine la figura del cardellino,uccello che venive tenuto in gabbia e spesso accecato perchè si pensava cantasse meglio.
Non importa che l'azione dell'uomo sia antieroica,si può vivere inseguendo un miraggio come l'allodola,o annientarsi con gesti che consumano come la quaglia che attraversa il mare:Ungaretti trova la sua causa nel dovere verso la Patria.
NOSTALGIA
Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa
Su Parigi s'addensa
un oscuro colore
di pianto
In un canto
di ponte
contemplo
l'illimitato silenzio
di una ragazza
tenue
Le nostre
malattie
si fondono
E come portati via
si rimane.
Ungaretti scrive il testo nel 1916,mentre si trova sul Carso,e per sfuggire alla tragicità della situazione ritorna con la mente ad una sera di Febbraio a Parigi. Osserva una ragazza su di un ponte sulla Senna e percepisce il suo malessere,simile alla propria sensazione di forte disagio. Il poeta ha la sensazione che tra i due si instauri una profonda connessione,e che le loro due "malattie" si fondano. I verbi utilizzati sono tutti al tempo presente(é,passa,s'addensa,contemplo, si fondono,si rimane) per dare un'idea di fissità del ricordo nella mente del poeta.
SOLDATI
Bosco di Courton,luglio 1918
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
All'inizio la poesia aveva per titolo Militari,che come il titolo attuale risulta fondamentale per comprendere il significato del testo,che sarebbe altrimenti di difficile interpretazione. Le parole chiave nel testo sono "autunno" e "foglie",la precarietà della vita dei soldati è paragonata infatti alla caducità delle foglie autunnali:la stagione rimanda alla situazione vissuta dai combattenti in quei momenti,mentre le foglie alla possibilità che aveva la loro vita di essere spezzata in qualunquemomento.
L'analogia è utilizzata quindi in sostizione dei collegamenti logici espliciti,la lettura è dal punto di vista della guerra,con una condizione di disagio sia fisico che psicologico. Si può dare anche un'estensione del significato del testo alla vita in generale come una guerra,dove il conflitto nasce dalla consapevolezza della finitudine.
Venne a contatto con la letteratura francese attraverso la rivista "Mercure de France" e iniziò a leggere le opere dei simbolisti francesi Rimbaud, Mallarmè, Baudelaire. Si avvicinò alla letteratura italiana con l'abbonamento alla rivista “La Voce”.
Si trasferì a Parigi nel 1912, dove conobbe il poeta Apollinaire, con cui strinse amicizia. Incontrò anche Aldo Palazzeschi, Picasso, De Chirico e Modigliani.
Nel 1914 Ungaretti giunse a Milano.
Nel 1915 si arruolò volontario in quanto nutriva sentimenti interventisti. Combatte sul Carso in Friuli, un paesaggio che Ungaretti ritrarrà nella sua prima raccolta “Il porto sepolto”. Il porto sepolto fa parte del nucleo originario della poesia di Ungaretti, prima “Allegria di naufrag” e poi “L'allegria”.
Finita la guerra, si impiegò al Ministero degli Esteri e in seguito aderì al fascismo, firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925.
Ungaretti, irrequieto e legato alla cultura degli intellettuali francesi, si allontanò dal fascismo.
Nel 1928 Ungaretti si convertì al cattolicesimo e pubblicò nel 1933 "Sentimento del Tempo".
Nel 1936 si trasferì in Brasile, a San Paolo, dove ottiene la cattedra di letteratura italiana presso l'università della città.
La morte del figlio nel 1939 fu per Ungaretti fonte di grande dolore e presente in molte poesie delle raccolte “Il Dolore” (1947) e “Un Grido e Paesaggi” (1952). Morì nel 1970 a Milano, dopo che la sua opera era stata raccolta in un unico volume “Vita di un uomo”.
L’ALLEGRIA
Una prima edizione venne pubblicata con il titolo “Il porto sepolto” (1916), poi “Allegria di naufragi” (1919) ed infine “L’allegria” (1931)
Questa raccolta, dal taglio fortemente autobiografio, nacque dal bisogno di momenti autentici nella realizzazione di un’armonia con la realtà circostante, armonia attraverso cui l’individuo si sente parte dell’universo.
Evidente è la ribellione alle regole tradizionali della forma poetica e la tensione espressionistica con cui si intende il completo rifiuto della punteggiatura, l’uso dell’indicativo presente, la ricerca della massima autosufficienza e immediatezza espressiva raggiunta attraverso lo sconvolgimento della metrica, l’adozione di versi brevissimi e dando la massima energia a nomi e verbi.
VEGLIA
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
SAN MARTINO DEL CARSO
Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più straziato
ITALIA
Locvizza l’1 ottobre 1916
Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni
Sono un frutto
d’innumerevoli contrasti d’innesti
maturato in una serra
Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia
E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre
FRATELLI
Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli fa parte come le altre poesie analizzate delle poesie composte durante la prima guerra mondiale, precisamente il 15 luglio del 1916, mentre il poeta si trovava volontario a Mariano: si tratta della località di Mariano del Friuli, paesino in provincia di Gorizia, a qualche chilometro a nord della linea dell’Isonzo. La poesia Fratelli in origine si intitolava Soldati (sia nella raccolta Porto sepolto del 1916, sia in Allegria del 1919), nel corso degli anni fu rimaneggiata più volte fino alla stesura definitiva nell’edizione del 1942 dell’Allegria.
La poesia Fratelli si apre con una domanda che viene rivolta ai soldati che, nell’oscurità della notte, non sono immediatamente riconoscibili al poeta e ai suoi commilitoni. La poesia verte su uno dei temi fondamentali del primo Ungaretti: la "fraternità degli uomini nella sofferenza", nel caso specifico è la fraterna solidarietà che lega i soldati nella condizione di fragilità imposta dalla guerra. Gli uomini, legati dal comune destino di morte, si uniscono nel comune sentimento di precarietà, non solo legato alla situazione contingente ma riferito anche alla condizione umana nel suo complesso. I soldati, avendo sempre davanti ai propri occhi immagini di morte, sono ben consapevoli di quanto siano fragili, tuttavia riescono anche a comprendere che la caducità è una caratteristica peculiare dell’intera condizione umana e accomuna tutti gli uomini in un sentimento di dolorosa fraternità. La solidarietà rappresenta l’istintiva reazione (involontaria rivolta) alla constatazione della precarietà umana. Gli uomini cercano così di tornare gradualmente alla vita.
ANALISI:
- Fratelli = rappresenta la parola-chiave che apre e chiude il componimento, e a cui si connettono tutti gli altri termini del testo (“parola tremante”, “foglia”, “involontaria rivolta”). Il tema passa così dalla realtà della guerra al senso di fratellanza che, nonostante tutto, prova ad instaurarsi tra i soldati. I soldati riacquistano così la propria umanità ed intima dignità. La parola dà speranza e nuovo vigore.
- Parola = è riferito a fratelli – Tremante = la sensazione di paura e di timore per l’incertezza sulla propria sorte, connessa al pericolo di morire da un momento all’altro, è trasferita dagli uomini del reggimento alla “parola” “fratelli”, che in tal senso vibra/trema e risuona nella notte simboleggiando tutta la fragilità umana dei “soldati”.
- Foglia appena nata = analogia ungarettiana (come in altri testi, da Sono una creatura a San Martino del Carso a Soldati). La parola di solidarietà, fratelli, è paragonata a una foglia appena sbocciata, fragile, così come è fragile il destino dell’uomo.
- Involontaria rivolta = [la parola fratelli suona come] ribellione spontanea/istintiva all’orrore della guerra. La parola “fratelli”, scambiata tra due reggimenti in una notte di guerra e di morte, diventa una forma di ribellione (come se la sofferenza avesse portato a galla l’intima natura di ciascuno) all’assurda tragicità della realtà. Ungaretti celebra l'istinto di quest'ultimo alla vita e il desiderio insito nell'animo di ognuno di sfuggire la morte e la guerra.
Il testo è reso suggestivo tramite alcuni espedienti nel linguaggio. Non essendovi che un solo verbo (siete al v.1) la centralità viene assunta da sostantivi e aggettivi che si affiancano l’uno all’altro. Poche parole scarne e crude e un termine che scandisce tutta la lirica: fratelli, ripetuta all’inizio e alla fine della lirica. Spazi bianchi, scomposizione dei versi e pause servono a dare rilievo al valore delle parole utilizzate. Il punto interrogativo del verso 2 è, come spesso accade in questa fase della poetica ungarettiana, l’unico segno d’interpunzione presente nella lirica.
IN DORMIVEGLIA
Valloncello di Cima Quattro il 6 agosto 1916
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio
Mi pare
che un affannato
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
ed io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia
In Dormiveglia è una poesia scritta a Valloncello di Cima Quattro il 6 Agosto 1916. I temi principali sono la violenza, la crudeltà, l’atrocità, la malvagità, la paura e anche la speranza, in legame tra loro tramite un rapporto di causa effetto.
La poesia è divisa in due parti. La prima comprende i primi 8 versi ed è una descrizione della notte in trincea. Giuseppe Ungaretti riesce a trasmettere le sue sensazioni e la situazione caotica che regnava in quel tempo, sotto il clamore e il tumulto delle armi e degli uomini rifugiati nelle trincee. La seconda parte invece comprende l’ultima strofa, di 9 versi. In questa parte tutto si trasforma in un mondo “incantato”, in un luogo di “scalpellini” e “lastricati”, dove Ungaretti si finge ad occhi chiusi, trovando asilo momentaneo alle atrocità in cui era immerso e suo malgrado partecipe. Ma è solo una finzione questo dormiveglia, un’illusione che il poeta conosce bene ma non sa evitare.
ANALISI:
- Assisto la notte violentata = il verbo assistere è usato in senso transitivo. La notte è personificata e Ungaretti la assiste, come se fosse un infermiere, perché è “violentata” dai mille colpi rabbiosi della fucileria – Ipallage: non è la notte ad essere violentata, ma piuttosto i soldati in trincea, violentati nella loro dignità di persone, nella loro libertà, nelle loro individualità a causa della guerra.
- Come una trina = come un pizzo. La similitudine rimanda alla dimensione domestica e familiare ed è rappresentativa del tema del rapporto tra la situazione bellica e la memoria dell’infanzia o dell’adolescenza.
- Come le lumache nel loro guscio = i soldati sono nella stessa condizione delle lumache. Sono ristretti nel loro guscio, rintanati e pigiati nella trincea; pur essendo in posizione difensiva estrema, sono anche vigili, come a volte succede per le lumache, che tirano fuori la testa se tutto intorno è tranquillo, ma, come avvertono un pericolo, si ritraggono nel loro guscio e non escono se non dopo un po' di tempo. Le trincee come il guscio rappresentano una casa, un rifugio dalle minacce e un riparo da eventuali attacchi nemici.
- Mi pare… = i rumori ricordano al poeta i lavori nelle strade della sua città: una folla di scalpellini che martellano tempestosamente le pietre vulcaniche del selciato.
L’originalità della poesia sta nel fatto che la descrizione della guerra è costruita dando importanza ai rumori. Sia nella prima che nella seconda parte, infatti, intorno al poeta c’è un susseguirsi frenetico di colpi, che gli impedisce di abbandonarsi al sonno ristoratore. Nella sua città, però, quel martellare era espressione di lavoro operoso, in tempo di pace; in guerra, invece, è l’azione insensata di uomini che, di notte, si accaniscono su fronti opposti in un gioco di morte per annientarsi vicendevolmente. Questo aspetto è recuperato a livello fonico, contribuendo al collasso sentimentale e al coinvolgimento emotivo che Ungaretti mira ad ottenere nel lettore. Ricorrono infatti ossessivamente parole onomatopeiche di suoni "duri" che stanno a rappresentare i colpi di fucile sparati dai soldati: assisTo, noTTe, vilenTaTa, cRivellaTa, Trina, schioppeTTaTe, riTRaTTi, TRincee, affannaTo, baTTa, lasTRicaTo, pieTRa, sTRade, ascolTi. La fonetica tendenzialmente stridente.
MATTINA
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
M’illumino
d’immenso
Fu scritta il 26 gennaio 1917 a Santa Maria la Longa, mentre il poeta soldato era sul fronte del Carso. Si tratta di una delle poesie più celebri di Ungaretti e del Novecento, è anche la poesia più breve: due parole, unite tra loro da fitti richiami sonori. Fu pubblicata nella raccolta l’Allegria, nella terza sezione Naufragi.
Inizialmente venne pubblicata con il titolo: Cielo e mare. Il cambiamento del titolo in un momento della giornata, e non più in elementi concreti del paesaggio, ha contribuito ad accentuare l’astrattezza della poesia. La "primissima" stesura era contenuta in una cartolina inviata a Papini che recitava: “M'illumino / d’immenso / con un breve / moto / di sguardo", poi ricondotta alla sola sinestesia. La riduzione all’osso del testo non è un segno di incompletezza o di scarsa elaborazione ma al contrario, cogliendo l’essenza dell’avvenimento, di pienezza. L'idea di immenso scaturisce invece dall'impressione che cielo e mare, nella luce del mattino, si fondano in un'unica, infinita chiarità.
La brevissima lirica esprime l'illuminazione dell'improvvisa consapevolezza del senso della vastità del cosmo. Il messaggio che vuol comunicare è la fusione di questi due elementi contrapposti: il singolo, ciò che è finito, si concilia con l'immenso, ritrovando nella luce il principio e la possibilità di tale fusione. In questa poesia prevale quindi la volontà di ricercare una nuova "armonia" con il cosmo. La comprensione della poesia richiede di soffermarsi sulla particolare valorizzazione del titolo, indispensabile all’interpretazione corretta del significato: è metafora del momento della giornata nel quale il poeta, durante la guerra, viene come abbracciato da una luce molto intensa proveniente dall’alto, accompagnata da una sensazione di calore e allegoria della consapevolezza dell'esistenza dell'eterno che ci avvolge e ci sovrasta. Lo splendore del sole, sorto da poco, trasmette al poeta una sensazione di luminosità che provoca immediate associazioni interiori ed in particolare il sentimento della vastità. È un momento in cui il finito e l'infinito si uniscono quasi in un unico elemento: non esiste più niente intorno, solo una grande luce che origina un momento di intuizione quasi mistico nel quale egli si mette in contatto con l’assoluto. M’illumino d’immenso significa appunto questo: l’idea della infinita grandezza mi colpisce nella forma della luce. Il poeta ha voluto mettere in evidenza la felicità di immergersi nella luminosa bellezza del creato, negli spazi infiniti di una mattina piena di sole. Lui guarda il cielo pulito e pieno di luce. Percepisce un certo benessere e allora si riempie di luminosità e di gioia che lo fa sentire in armonia con la natura, soprattutto in quel periodo, in quanto uscito dal fronte con i suoi amici stanchi e delusi dalla guerra.
Dal punto di vista fomale il testo rivela una attenta ricerca di intensità, data dalla sinestesia su cui è costruito il testo, oltre che dal perfetto parallelismo fonico-ritmico dei due versi. I versi sono formati da sillabe musicali che lette di seguito formano un perfetto settenario ed i suoni ripetuti (mi – im; min – men) creano una serie di echi. Sono entrambi aperti da una elisione e costituiti da due termini comincianti per i e terminati per o.
AGONIA
Morire come le allodole assetate
sul miraggio
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato
Questa poesia di Ungaretti esprime in maniera significativa l'animo dei tanti giovani che si erano arruolati volontari all'inizio della Prima Guerra Mondiale. L'autore pensa che sia meglio morire per la libertà,in questo caso per l'indipendenza delle genti di Trento e Trieste,come delle altre terre irredente sul Mare Adriatico,piuttosto che vivere nell'inerzia.
L'allodola e la quaglia sono qui utilizzate come figure simboliche che rappresentano la vita libera,essendo uccelli selvatici,che pur esposti ai pericoli della sopravvivenza e la migrazione non sono soggetti ad alcun tipo di condizionamento che li vincoli. In contrapposizione a questi viene inserito da Ungaretti alla fine la figura del cardellino,uccello che venive tenuto in gabbia e spesso accecato perchè si pensava cantasse meglio.
Non importa che l'azione dell'uomo sia antieroica,si può vivere inseguendo un miraggio come l'allodola,o annientarsi con gesti che consumano come la quaglia che attraversa il mare:Ungaretti trova la sua causa nel dovere verso la Patria.
NOSTALGIA
Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa
Su Parigi s'addensa
un oscuro colore
di pianto
In un canto
di ponte
contemplo
l'illimitato silenzio
di una ragazza
tenue
Le nostre
malattie
si fondono
E come portati via
si rimane.
Ungaretti scrive il testo nel 1916,mentre si trova sul Carso,e per sfuggire alla tragicità della situazione ritorna con la mente ad una sera di Febbraio a Parigi. Osserva una ragazza su di un ponte sulla Senna e percepisce il suo malessere,simile alla propria sensazione di forte disagio. Il poeta ha la sensazione che tra i due si instauri una profonda connessione,e che le loro due "malattie" si fondano. I verbi utilizzati sono tutti al tempo presente(é,passa,s'addensa,contemplo, si fondono,si rimane) per dare un'idea di fissità del ricordo nella mente del poeta.
SOLDATI
Bosco di Courton,luglio 1918
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
All'inizio la poesia aveva per titolo Militari,che come il titolo attuale risulta fondamentale per comprendere il significato del testo,che sarebbe altrimenti di difficile interpretazione. Le parole chiave nel testo sono "autunno" e "foglie",la precarietà della vita dei soldati è paragonata infatti alla caducità delle foglie autunnali:la stagione rimanda alla situazione vissuta dai combattenti in quei momenti,mentre le foglie alla possibilità che aveva la loro vita di essere spezzata in qualunquemomento.
L'analogia è utilizzata quindi in sostizione dei collegamenti logici espliciti,la lettura è dal punto di vista della guerra,con una condizione di disagio sia fisico che psicologico. Si può dare anche un'estensione del significato del testo alla vita in generale come una guerra,dove il conflitto nasce dalla consapevolezza della finitudine.